Lost in translation
Il 17 Luglio 2018 al Museo del Calcolo dell’Università di Pisa si è tenuto un evento che ha suscitato l’interesse di tantissime persone: si sono sfidati in un duello, di cui non si è capito bene il vincitore, il professor Beppe Attardi del Dipartimento di Informatica della locale università come esperto di intelligenza artificiale e Elisabetta Savigni Ullmann come interprete professionista di altissimo livello (da 30 anni Elisabetta è interprete della Casa Bianca negli incontri internazionali e ha tradotto per gli ultimi quattro presidenti: Clinton, Bush, Obama e Trump).
Il duello riguardava appunto la questione: riusciranno le macchine a sostituire completamente l’uomo nella traduzione e nell’interpretazione?
L’intervento di Attardi ha riguarda la traduzione e quindi l’interpretazione automatica. Partendo dall’inizio, Beppe ha raccontato anni di entusiasmi e depressioni della ricerca in questo campo, di come sia stata per tanti anni solo ricerca teorica affrontata con tecniche diverse. All’inizio è stata considerata solo come una cifratura, dove ogni parola corrispondeva alla corrispondente parola tradotta, poi si è basata anche su regole grammaticali e sintattiche. Sebbene l’argomento fosse considerato molto interessante, i risultati iniziali lasciavano parecchio a desiderare, tanto che nel 1966 un team di scienziati importanti decretò la fine di questo campo di ricerca, che sembrava senza speranza, e tutti i finanziamenti vennero tagliati.
Gli esempi delle prime traduzioni sono veramente divertenti (ma probabilmente apocrife): “Lo spirito è forte ma la carne è debole” tradotto in russo e poi di nuovo in italiano diveniva “La vodka è forte ma la bistecca è tenera”.
La ricerca continuò ugualmente sulla traduzione automatica (e con tecniche simili per la traduzione del parlato) e dagli anni settanta si cominciarono a vedere progressi molto lenti ma continui. Un grande miglioramento avvenne grazie a un nuovo metodo di traduzione basato su tecniche statistiche: se Babelfish nel 2004 traduceva “The work of Shakespeare” con “Gli impianti di Shakespeare” e “Speaker of the chamber of deputies” con ” Altoparlante dell’alloggiamento dei delegati”, Google nel 2007 traduceva le stesse frasi con “Le opere di Shakespeare” e “Presidente della camera dei deputati “, rispettivamente.
Ma la vera rivoluzione doveva ancora arrivare: nel 2014 esce il primo articolo su traduzione e Deep Learning. Si addestra una rete neurale come un bambino, a partire dagli esempi di frasi, di cui sulla rete si trovano innumerevoli esempi in tutte le lingue possibili. I traduttori automatici imparano e funzionano sempre meglio, tanto che anche Google nel 2016 abbandona i suoi metodi statistici e adotta il nuovo metodo. Tutto avviene a una velocità impressionante dall’articolo di ricerca al “prodotto” traduttore passano solo due anni! Il passo verso l’interpretazione automatica è immediato perché anche la sintesi vocale è molto progredita recentemente grazie a tecnologie completamente nuove.
Elisabetta ci ha invece raccontato che la necessità di avere interpreti nasce in occasione del processo di Norimberga, dove per la prima volta c’era la nesessità di avere una traduzione simultanea in quattro lingue diverse. Descrive come il suo lavoro sia composto di tre diverse modalità di traduzione: la simultanea, la consecutiva e il chuchotage (a bassa voce direttamente all’orecchio) che comportano abilità diverse. Ci motiva poi, con moltissimi aneddoti della sua lunga esperienza di interprete, come l’intervento umano non si basi soltanto sulla traduzione, ma su tantissimi aspetti che vanno dal rapporto fiduciario che si sviluppa tra le persone, all’imitazione di toni e espressioni, alla mediazione culturale. Una buona intesa tra interprete e interpretato garantisce che nella traduzione emergano anche le emozioni e non solo la parola. A questo la macchina non è ancora arrivata.
Elisabetta ha anche spiegato le problematiche derivate da traduzioni e statistiche (soprattutto in campo medico), che cambiate di contesto perdono completamente significato, e quelle derivanti dall’appiattimento generale della comunicazione internazionale dovuto all’uso della lingua inglese.
Secondo lei, le macchine non sostituiranno mai l’essere umano in questo lavoro delicatissimo soprattutto quando si lavora a livello di capi di stato e il rischio in caso di errore è altissimo. Pensa che si possa paragonare l’interprete del futuro al controllore di volo attuale: la situazione è monitorata completamente dalle macchine, ma le decisioni ultime sugli ordini da dare sono dell’umano.
Alla fine dei due interventi si è sviluppato un dibattito interessantissimo a cui hanno partecipato informatici, traduttori e gente comune, che hanno preso posizione da una o dall’altra parte.